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A Festa Roma suo docu sulla fotoreporter uccisa Fatma Hassouna

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Nel modo in cui si è arrivati a "questo cessate il fuoco a Gaza, ancora una volta, i palestinesi non sono ascoltati, le decisioni sono state prese sopra le loro teste. Hamas non rappresenta in nessun modo la Palestina e tutte le anime palestinesi. Un vero leader, come Barghouti, invece non è stato liberato. Ciò mostra una volontà, ancora una volta, di silenziare le voci pacifiste palestinesi". Lo dice la regista iraniana dissidente Sepideh Farsi che è alla Festa del Cinema di Roma con il documentario Put Your Soul On Your Hand And Walk, intenso racconto della Striscia nei mesi di guerra e della vita dei palestinesi sotto le bombe. Una cronaca resa attraverso i dialoghi in più videochiamate durante un anno, da aprile 2024 a aprile 2025, con la fotoreporter 24enne Fatma Hassouna, uccisa proprio lo scorso aprile da un drone in un attacco mirato ("uno dei tanti contro i giornalisti a Gaza" ricorda la cineasta) con sei membri della sua famiglia. Una fine arrivata poche ore dopo aver saputo da Sepideh Farsi che il film non fiction (in uscita nelle sale italiane dal 27 novembre con Wanted Cinema) sarebbe andato a Cannes. "Questo cessare il fuoco è molto parziale e insufficiente - aggiunge Farsi -. La speranza che si arrivi realmente alla pace ce l'ho ancora, ma non posso dire di essere molto ottimista". Anche perché "ho testimonianze dirette che i bombardamenti non si sono fermati. Ad esempio, il palazzo dove è morta Fatma con i suoi parenti, è stato di nuovo colpito e completamente distrutto. Non si capisce il senso di radere il suolo un immobile ora vuoto come quello, a parte tentare di occultare le prove del genocidio". Poi "gli aiuti sono ancora bloccati: anziché arrivare 600 camion al giorno come sarebbe necessario, ne arrivano 140-150, che sono assolutamente insufficienti. Il presunto cessate il fuoco verso una presunta pace, in realtà non sta avvenendo". Sepideh Farsi, cineasta e attivista, ha vissuto la rivoluzione iraniana a 13 anni. Arrestata a 16, ha lasciato il suo paese a 18 stabilendosi a Parigi. Autrice di una quindicina tra documentari, fiction e opere d'animazione, aveva già girato clandestinamente, con un cellulare Teheran senza autorizzazione (2009), e raccontato in Red Rose (2014) il Movimento Verde. Allo scoppiare della guerra a Gaza, aveva tentato di entrare nella Striscia per raccontare quanto accadeva "ma non era stato possibile in alcun modo. Così ho iniziato a cercare un testimone. Alla prima conversazione con Fatma ho capito che il film sarebbe stato lei". La giovane fotoreporter, di straordinario talento come dimostrano i suoi scatti (raccolti in un volume appena uscito in Francia) colpisce nelle conversazioni via smartphone con la regista, per la straordinaria positività trasmessa con il grande sorriso, l'empatia e la capacità di unire il racconto quotidiano personale allo sguardo sulla tragedia in cui era immersa. "Avevo sempre la paura che ogni conversazione potesse essere l'ultima - spiega la cineasta -. Eravamo in contatto costantemente, come lo sono adesso con sua madre. Le mandavo messaggi ogni giorno, per sapere se stesse bene, e anche solo vedere che aveva letto, mi faceva respirare. Il suo sorriso, credo fosse una maniera per lei di accogliere la vita, di resistere, ma aveva diverse tonalità, non era sempre lo stesso: era a volte un sorriso di resistenza, altre di fierezza, a volte era più assente, a volte più nostalgico, a volte anche triste ". Tutti i momenti passati a parlare, "restano dentro di me - spiega Farsi, che il 22 ottobre sarà con il film anche al Festival di cinema e donne di Firenze - ma non dimenticherò mai soprattutto la nostra prima conversazione, quando le chiedo cosa significasse per lei essere palestinese e lei mi risponde 'di esserne fiera' e che qualunque cosa avessero fatto al suo popolo, non sarebbero stati sconfitti, perché non avevano niente da perdere". Sono "parole così forti e importanti dette con una così grande semplicità".

J.Becker--MP